Da oggi il sito della Fondazione TMSR Onlus si arricchisce di una serie di approfondimenti sulle attività che la Fondazione promuove dal 2014. Come già sapete, lavoriamo su tre fronti: il sostegno alla ricerca e ai ricercatori che studiano le patologie muscoloscheletriche; la donazione di tecnologie e strumenti di ultima generazione ai centri ospedalieri di eccellenza torinesi impegnati nella cura di queste malattie; l'umanizzazione delle cure e degli ambienti di cura. Ma non vogliamo parlarvi solo dei nostri progetti. Vogliamo raccontarvi anche le persone che quotidianamente lavorano a realizzarli.
Iniziamo con un’intervista a Laura Rossi, Data Manager Sanitario. Grazie alla Fondazione TMSR, Laura ha completato la sua formazione in Canada presso il Sarcoma Unit - Mount Sinai Hospital di Toronto. Oggi lavora nella Divisione di Chirurgia Oncologica Ortopedica dell'ospedale C.T.O e presso il Gruppo Interdisciplinare Cure della Rete Oncologica Piemonte. Mi può parlare del suo percorso professionale e della sua esperienza a Toronto? Ho conseguito un diploma di laurea triennale come tecnico di laboratorio biomedico e poi ho iniziato a guardarmi intorno per trovare lavoro a Trieste, mia città natale, venendo a conoscenza della figura del data manager sanitario; ho frequentato un corso di formazione per capire in cosa consistesse il mondo della ricerca clinica, e in seguito sono venuta a conoscenza del progetto di Fondazione Tumori Muscolo Scheletrici e Rari Onlus per la formazione di un data manager sanitario attraverso uno stage al Sarcoma Unit - Mount Sinai Hospital di Toronto, ai fini dell’inserimento nella Divisione di Chirurgia Oncologica Ortopedica dell’ospedale C.T.O. Ho deciso di intraprendere questo percorso e nel 2015 sono partita per Toronto dove ho conosciuto la Dr.ssa Aileen Davis che mi ha introdotto ai suoi progetti di ricerca. Non solo. Lì ho frequentato l’ambulatorio di ortopedia oncologica del Mount Sinai Hospital insieme ad altri data manager. Ho studiato la struttura e il funzionamento del loro database e ho analizzato la metodologia di arruolamento del paziente in uno studio clinico e lungo tutto il suo percorso di ricovero ospedaliero e post-ospedaliero, applicando poi quanto studiato al C.T.O., il centro di riferimento piemontese per i sarcomi e le metastasi ossee, frequentando al contempo un Master di due anni in Data Management per le sperimentazioni cliniche presso l’università degli studi di Torino.
Chi è e che cosa fa il data manager sanitario? La figura del DMS è nata circa 20 anni fa come figura professionale che raccoglie i dati degli studi clinici e li registra per analizzarne poi i risultati e applicarli per lo sviluppo di nuovi approcci diagnostici e/o terapeutici alle malattie oggetto dello studio. Ora il concetto si è evoluto in Clinical Research Coordinator, ovvero Coordinatore di Ricerca Clinica: non si tratta più solo di raccogliere i dati ma anche di contribuire alla stesura dei protocolli, sottoporre la documentazione al comitato etico, relazionarsi con l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) e con le aziende farmaceutiche. Le sue attività consistono, inizialmente, dall’inserimento del paziente nello studio tramite il suo consenso informato, per proseguire poi con la gestione e la spedizione di campioni biologici, l’organizzazione degli esami previsti, la verifica e registrazione dei dati clinici e infine con la chiusura documentale amministrativa dello studio, la notifica al comitato etico e all’AIFA. Io mi occupo anche di analisi statistica e della redazione di articoli scientifici.
Quanti DMS ci sono nella sola città di Torino? Dove ci sono centri di eccellenza si fa molta ricerca, sia indipendente che sponsorizzata: ad esempio nella Città della Salute, in oncologia ed ematologia, almeno 15. Idem in ospedali quali il San Luigi e Candiolo. Esistono vere e proprie unità di ricerca clinica.
Mi può parlare del progetto TESS al CTO: come ha messo a profitto la sua esperienza canadese a Torino? Il progetto TESS nasce grazie alla dr.ssa Aileen Davis, che nel 1996 scrisse una tesi elaborando un questionario sulla qualità della vita del paziente, chiamato appunto TESS, Toronto Extremity Salvage Score. Purtroppo, la storia dei sarcomi è triste, in quanto fino agli anni ‘70 il gold standard era l’amputazione: non esisteva terapia, non esisteva chirurgia, non esistevano protesi. Il questionario nasce proprio dall’esigenza di valutare la qualità della vita dei pazienti che non vengono sottoposti ad amputazione. Per fare un esempio, ci sono domande che riguardano la difficoltà del paziente nelle varie attività giornaliere dopo un intervento chirurgico di notevole impatto sulla quotidianità. I sarcomi sono patologie rare, ma non per questo di minor importanza e anche se un tempo la qualità della vita non veniva considerata come metro di giudizio per la qualità delle cure, oggi, grazie al TESS, sì.
Com’è articolato il questionario? Il TESS è costituito da 29 domande. Ne esiste uno per l’arto superiore e uno per l’arto inferiore, a seconda della localizzazione della malattia. I quesiti riguardano attività di tutti i giorni, ad esempio se con il braccio operato il paziente riesce a spazzolarsi i capelli. La valutazione è articolata in gradi da 1 a 5, dove 5 è il livello di difficoltà zero mentre 1 è impossibile. Il punto forte del TESS consiste nel fatto che è il paziente in prima persona a rispondere. Esiste anche un altro strumento in uso, l’MSTS (Muscolo Skeletal Tumor Society), che però è compilato dal clinico. Il TESS è invece il primo test che indaga direttamente la percezione del paziente. Naturalmente è nato in lingua inglese per cui uno dei miei primissimi compiti è stato tradurlo. La traduzione è stata poi sottoposta a validazione cross-culturale secondo precise linee guida internazionali. Ne esistono varie versioni, in varie lingue, ma tutte hanno seguito questo iter. In Italia è stata la Fondazione TMSR insieme al reparto di Ortopedia Oncologica a volerlo adottare. Si è proceduto con la traduzione dall’inglese all’italiano e poi dall’italiano all’inglese per verificarne l’aderenza. Ho poi aggiunto alcuni esempi e diversificato, ad esempio, tra attività di giardinaggio in casa o in esterno, laddove la lingua inglese prevede invece un’unica parola, gardening. Quando ho iniziato l’attività a Torino per prima cosa ho sottoposto il questionario a una trentina di pazienti che avevano subito l’intervento da almeno un anno, quindi già in fase di follow-up. Una paziente mi ha fatto notare che nel test non si faceva mai riferimento a strumenti come tablet, smartphone e touchscreen. Così l’ho comunicato alla dr.ssa Davis, la quale ha dato l’ok per l’inserimento di un quesito su questo tema, al giorno d’oggi di importanza non più trascurabile. Conclusa la prima fase con i primi 30 pazienti, ho sottoposto il test a un gruppo di 125 pazienti, prima dell’intervento, poi a 3 mesi e poi a 6 mesi. Abbiamo terminato questa seconda fase circa un anno fa e abbiamo proceduto alla stesura dell’articolo, mandato il paper alla dr.ssa Davis ed attualmente è in fase di review presso un importante rivista ortopedica.
Progetti per il futuro? Proseguire il lavoro con la Fondazione TMSR e con il C.T.O: siamo un centro giovane che in questi quattro anni ha fatto passi da gigante, ma che sicuramente ha le carte in regola per crescere ancora. Da pratica clinica al C.T.O. seguiamo i pazienti per 10 anni: i primi 6 mesi, tutti i mesi, dai 6 mesi all’anno 2 volte l’anno, e poi a seguire, con esami radiologici e del sangue per verificare l’eventuale insorgenza di recidive e/o metastasi. Abbiamo bisogno del follow-up sul paziente per poterne aiutare altri. È fondamentale per valutare il nostro operato. Infatti, stiamo per partire con due studi di cui abbiamo scritto noi stessi i protocolli, uno sui sarcomi e uno sulle metastasi, in cui abbiamo inserito il test come metodo di valutazione raccogliendo i dati pre-intervento, poi a 3, 6 mesi, 1 anno, 3, 5 e 10 anni, in modo da registrare i dati da qui a un decennio. Questo è l’obiettivo: offrire al paziente la migliore qualità di cure attraverso la loro diretta opinione.